Varietà di terre e cambi di scena improvvisi dal segno inconfondibile: la punteggiatura di rocche creata nei millenni, giganteschi relitti di un altipiano scavato dal mutevole corso del Fiume Tanaro.
Il mare ha fatto la differenza. Meglio ancora: l’hanno fatta le sabbie di color giallo-ocra che fino al Terziario erano fondali marini e che oggi formano gli strati di terreno di cui è costituita la spina dorsale del Roero, le cosiddette Rocche, il sistema collinare che va da Pocapaglia a Cisterna d’Asti, al cui centro si trova Vezza d’Alba.
Una successione di contrafforti bella e fragile, via via polverizzata dal Tanaro, risparmiata per la sua delicatezza dall’uomo a vantaggio della biodiversità di piante, animali e, soprattutto, Tartufi Bianchi. Sabbia, fossili di conchiglie, ricci e pesci accompagnano la crescita degli ambitissimi tuberi, definendone il carattere specifico: un peridio, ovvero l’epidermide, dalla superficie liscia e chiara, e una gleba, la polpa, dalla tessitura sottile, piena, che sprigiona un profumo fine, che sfuma nel miele.
Una struttura che assomiglia in qualche modo alla stessa stratigrafia geologica del Roero, e che viene ripresa nel logo della Fiera di Vezza d’Alba, come a ricordare che questi doni del mare e del territorio vanno “lamellati” e non grattati.
I Tartufi Bianchi d’Alba sono adorati dai gourmet e preferiti dagli chef stellati, come racconta Andrea Rossano, che negli anni si è aggiunto ai grandi promotori del Tartufo del Roero, portandolo ovunque nel mondo, in Asia e in modo particolare in Giappone, il Paese che più di tutti, con la Francia, ne apprezza la qualità. Un’attività che ora assume ulteriore valore grazie all’individuazione di un cru e di un marchio veri e propri che portano le Rocche nel nome e nel sapore.
Associazione Nazionale Città del Tartufo.
Il nostro presidente nazionale Michele Boscagli agli Stati generali del Tartufo che si stanno svolgendo a Campobasso, ospiti della Regione Molise per fare il punto sulla candidatura a patrimonio culturale immateriale UNESCO della 'Cerca e cavatura del Tartufo’.
Una lunga storia d’amore che risale, da alcuni documenti, alla fine del 1400, quella fra Vezza d’Alba e il vino. Con alcuni passaggi importanti, come la denominazione dell’uva Favorita nel 1676 ritrovata nei libri di cantina dei Conti Roero: un vitigno che avrebbe celebrato la viticoltura Vezzese e che oggi occupa ancora cinque ettari di terreni.
Una vocazione per il bianco ereditata dal Roero Arneis, che si prende 88 dei 207 ettari di produzione. 75 ettari sono le superfici vitate a Nebbiolo d’Alba, quasi un quarto delle quali registrate come Roero, il corrispondente locale di Barolo e Barbaresco; 24 quelle dedicate alla Barbera d’Alba, altro vitigno storico. Langhe Bianco, Chardonnay e Sauvignon mantengono invece la tradizione dei vini particolari come il Rossese, un bianco definito autoctono, sempre presente sulle tavole dei Roero.
I signori del territorio avevano a Vezza i migliori appezzamenti e una vigna storica ai piedi della rocca del castello. Sugli altari delle parrocchie dell’Albese non mancava invece un vino bianco da messa, fornito in esclusiva dalla Cantina sociale del Paese, oggi Cantina del Nebbiolo, attiva già da inizio Novecento. Mescolati a pescheti prima e noccioleti poi, i vigneti di Vezza spezzano ancora oggi il ricco tessuto di boschi e si spingono sui pendii fino all’estremo di prevedere una coltivazione esclusivamente manuale, e disegnando così un paesaggio enoico tra i più belli del Roero e delle Langhe.
Per il 2019, vista la peculiarità dei Comuni coinvolti, Monticello d’Alba, Pocapaglia, Vezza d’Alba e Sommariva del Bosco, fonte di ispirazione sono il bosco e il rapporto con la natura: elementi di grande rilievo in questi territori, declinati con differenti linguaggi artistici, diventano materia di ricerca rispettivamente per Sabrina Oppo, Johannes Pfeiffer, Gian Luca Favetto, Emiliano Bronzino.
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Terre generose di buoni frutti trasformati in prelibatezze enogastronomiche, e con esse, in civiltà: castelli, mulini, pievi e santuari, miriadi di piccole chiese votive.
Eccellenze della tavola, vestigia storiche e paesaggio dialogano fra loro attraverso una fitta, affascinante rete di sentieri tematici, pedonali e ciclabili, che tessono spettacolari vigneti, drammatiche forre, affioramenti fossili, cocuzzoli coperti di vegetazione come gobbe di cammello.
Esperienze immersive dove Roero significa forte legame fra grande cultura e saper vivere.
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